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Roma, 20 marzo 2009
«Viviamo in una democrazia autoritaria»
La sua idea sulla deriva giustizialista: «Ci sono norme liberticide
che non suscitano la reazione popolare».
E sul progetto Sinistra e libertà: «Avrei preferito la difesa dei valori»

Intervista a Marco Boato, esponente dei Verdi, di Notizie Verdi di venerdì 20 marzo 2009

Boato, il suo profilo e la sua storia politica sono all’insegna di un impegno preminente, accanto a quello ecologista: il garantismo. Come legge la deriva giustizialista che percorre il nostro Paese? L’allarme rumeni, la banca del Dna, l’obbligo per i medici di denuncia degli irregolari, le molte declinazioni allarmistiche della questione sicurezza?

«In questi mesi ho riflettuto su cosa stia avvenendo, sul nodo delle garanzie individuali, non solo in materia penale, ma più genericamente in senso civile; e perciò aggiungerei al suo elenco la questione del testamento biologico, dove si va profilando una legge che non garantisce un diritto bensì lo conculca. Ci sono tendenze in atto, accentuatesi nell’ultimo anno ma con origini più lontane, che hanno una matrice di destra e attraversano settori del centrosinistra. Mi inducono a definire questa fase come di “democrazia autoritaria: un sistema in cui le libertà formali sopravvivono ma la democrazia è svuotata al suo interno da una forte caratura autoritaria. Faccio perciò riferimento a un discorso più ampio, che includa gli aspetti penali e civili come pure il sistema di voto, che espropria totalmente i cittadini dal diritto a decidere i propri rappresentanti. In questa cornice, la legislazione sull’immigrazione, come pure le questioni da lei citate, rappresentano la messa a punto di norme liberticide che non suscitano alcuna ampia, decisa reazione popolare: la democrazia autoritaria che osservo, è questo il dato inquietante, gode di un’ampia base sociale e di largo consenso.
Uno degli elementi che ci fa capire come questo processo sia profondo - e come interessi anche l’elettorato del centrosinistra - riguarda l’indulto. Vi è stata una campagna contro quel provvedimento, che era inevitabile e irrinunciabile, che ha attraversato anche il centrosinistra. Le ricadute di questa cultura sono paradossali: penso all’Idv e al suo leader, che ha più volte ribadito come il suo partito non avrebbe mai candidato condannati e tanto meno - cosa che trovo contestabile - inquisiti. E che ora candida De Magistris, indagato per abuso d’ufficio».

A chi attribuisce le responsabilità di questa situazione?
«Le responsabilità principali di ciò che sta accadendo sono del centrodestra. Ma nel centrosinistra, nell’Idv come nel Pd, si è affermato un senso di subalternità culturale alla linea strategica della destra. Ad esempio sulle politiche in materia di droghe non è mai emersa alcuna capacità di fare una battaglia di libertà, non dico antiproibizionista, ma neppure per la riduzione del danno. Stessa subalternità emerge in materia di immigrazione, dove pure siamo giunti all’assurdo: l’immigrazione clandestina è divenuta reato e, tuttavia, quella regolare è difficilissima o impossibile».

Un’ultima questione: è emersa una sua qualche contrarietà al progetto di Sinistra e libertà, o quantomeno al ruolo che i verdi possono giocare in questo raggruppamento.
«Se non ci fosse stata l’introduzione della soglia di sbarramento del 4 per cento alle europee penso che i Verdi avrebbero dovuto presentarsi autonomamente, perché fanno parte di una famiglia politica europea consistente e riconosciuta. Nel momento in cui si introduce quella soglia diviene realistico pensare a un’alleanza. Ma avrei preferito una formula che richiamasse di più la necessità della difesa dei valori democratici e che sottolineasse meno il dato identitario - quello di sinistra - che è fondante per la maggior parte delle forze componenti questo raggruppamento, ma non per i Verdi. Il riconoscimento della propria matrice doveva, semmai, realizzarsi per tutte le forze concorrenti al progetto. Se i Verdi si esaurissero in un progetto politico di sinistra, ciò coinciderebbe con la loro scomparsa: la ra­gione sociale del nostro partito è nel superamento degli schemi ideologici del passato».

 

  Marco Boato

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